Niente da fare. Il Partito Democratico guidato da Pier Luigi Bersani, che ha appena stravinto alle primarie del Centro Sinistra quale candidato premier, continua ad essere sotto esame. Evidentemente questo trionfo della "forza tranquilla" non basta. Illustri analisti, giornalisti e commentatori si stanno cimentando nello strano gioco del cercare il pelo nell'uovo. Ci vogliono già rovinare la festa, o perlomeno ci provano. Per alcuni Bersani continuerà a rappresentare la vecchia guardia e non avrà il coraggio di cambiare. Per altri ancora la sua coalizione sarà fortemente condizionata da Vendola e dalla sinistra radicale. Per altri ancora il compromesso con i centristi ne determinerà la continuità acritica con il montismo.
Insomma, nonostante Pier Luigi Bersani e noi insieme a lui, abbiamo vinto la dura e non per niente scontata sfida delle primarie con parole d'ordine chiare e un rinnovamento di fatto dichiaratamente rilanciato, questo pare nessuno lo voglia fino in fondo notare e soprattutto riconoscere. Il Partito Democratico fin dal 2009, guidato da Pier Luigi Bersani, ha avviato un serio processo di rinnovamento dal punto di vista generazionale a partire da una segreteria nazionale piena di giovani in settori chiave come l'economia, la cultura, la scuola, i trasporti, la giustizia e tanto altro ancora.
I segretari regionali del Partito Democratico sono in larghissima parte under 40 in regioni come la Lombardia, l'Emilia Romagna, la Puglia, la Campania, la Basilicata e non solo. Quindi la scelta di questi ultimi mesi di affidare la guida della campagna di Bersani alle primarie a tre giovani, Alessandra Moretti, Tommaso Giuntella e Roberto Speranza, non è figlia del tempismo all'italiana, ma è una conseguenza logica di un processo già avviato negli ultimi tre anni. Non per cortesia, ma per onestà intellettuale, dobbiamo ammettere che certamente Matteo Renzi e il suo coraggio a candidarsi alla guida dell'Italia ha certamente reso vivaci e realmente contendibili le primarie.
Ma sul fronte di un messaggio di reale rinnovamento credo che lui si sia limitato a interpretare sé stesso, un "ragazzo fortunato" come lui stesso si è definito, senza però coinvolgere nel merito e fino in fondo la generazione di cui intende essere portavoce e rappresentante. Non ha rappresentato o non ha voluto rappresentare la realtà dei giovani in tutte le sue sfaccettature quali la precarietà nel mondo del lavoro, la difficoltà a mettere su una famiglia e ad avere una casa, le limitazioni gravi al diritto allo studio e l'accesso alla formazione. Non ha raccontato il vissuto del milione di nuovi italiani che rappresentano il segnale tangibile di una trasformazione in atto nella società italiana in presenza di una legge sulla cittadinanza vergognosa e discriminatoria. Matteo Renzi ha voluto raccontare i sogni di una generazione senza prima raccontarne i drammi e le delusioni. Una storia incompleta che per l'appunto ha convinto solo una parte dei giovani. Personalmente non mi ha convinto eppure credo di essere una persona che crede nella forza dell'ottimismo e ammira gli audaci. Il mio limite sarà che non riesco a fidarmi di chi mi racconta solo una parte della verità. Oggi, per poterci rilanciare come partito, come coalizione e come Paese dobbiamo raccontarci invece tutta la verità e senza aspettarci solo ovazioni.
Dobbiamo essere sempre più spugne che ascoltano più che oratori dalle risposte facili. Dobbiamo prospettare una nuova modalità di comunicazione fondata sulla semplice verità del quotidiano e rappresentata da chi in politica si impegna da cittadino. Questa è in sintesi la nuova generazione impegnata nel Partito Democratico al fianco di Pier Luigi Bersani.
* Articolo pubblicato su huffingtonpost.it (5/12/2012)
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